giovedì 24 dicembre 2009

The most impressive music of this year.

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Come sentirsi tormentati e preferire, all'ultimo minuto, comode liste a classifiche che, alla fine dell'anno, risultano in grado di riassumere unicamente disarmonia e confusione. Perciò quello di Zombie Nation, il grande escluso insieme a qualcun'altro, forse è il disco dell'anno; e il motivo pare elementare quando la selezione, tuttora in riproduzione, sarebbe quella identica e suonata per intera se mai mi calassi nelle vesti del disc jokey di un casalingo ma alquanto gradevole stabilimento estivo. Ma c'è di più. Perché una volta smontata l'attrezzatura, già so che la destinazione sarebbe quella di un qualche parcheggio pubblico della zona periferica, sempre il solito magari, dove allora scivolerebbe addosso fluida la musica degli Intercity, raccolta in quello che forse è il disco dell'anno, che racconta di New York dall'italia però, di crescite bloccate ad uno stadio di patetica autocommiserazione, come se le stagioni non si succedessero e dalla bocca uscisse sempre fumo, che faccia caldo d'inverno o freddo d'estate. Eppure, nonostante tutto, nonstante questa stabile e impacciata pausa sempre più caratterizzante, alcuni nuovi mondi sono riusciti a schiudersi proprio sul finale. Uno di questi è derivato dalla dissennato tentativo da parte degli English Heretic, di testimoniare l'operato di Kenneth Grant, trasformando la magia in suoni che odorano di umido a non finire, che insieme a citazioni e a valzer streganti compongono quello che forse potrebbe risultare il disco dell'anno, unto, parapsicologico e spaziale. Appena prima invece, quando ancora non si volava come se si prendesse un treno, la balearica riscaldava le tiepide abitazioni di terre decisamente più fredde delle attuali, fascinose più delle attuali, luoghi di astrazione e di incontro che le parole si sprecano a tratteggiare. Ricordo che lì, con il calore manchevole, risuonavano echi da isole molto lontane, firmati jj e Washed Out, forse autori dei due dischi dell'anno, a parimerito, s'intende, con quelli di altri due cantastorie, Dan Auerbach e Mr. E degli Eels, musica riscaldamento per le mie stanze. Dentro a queste ultime, le camerette italo-svedesi, si viveva un pò su entrambi i lati: nell'ombra, calata dai Fever Ray, prolungata dal quartetto (naturalizzato inglese?) degli xx, quando soli si decidevano i loro forse come i dischi dell'anno; ma anche sotto il sole cocente di quando, in compagnia, si sognavano invece i raggi di sole riflessi sui ghiacci, anticipati dai Miike Snow, e le mega feste dove si balla la dancehall di Major Lazer, annunciati pionieri con i rispettivi album, forse dischi dell'anno. Ricordo poi quando la confusione regnava sovrana, in un'estate passata a piangere, tremare sui Paper Chase e a nobilitare il loro disco forse come quello dell'anno, riconoscendo in quelle note lo spettro di una demenza messa in piedi macabra e aleatoria, in mancanza di Mac Blackout (lui sì il grande escluso), munito di surrogati non proprio simili. Unici, ad ogni istante in grado di esorcizzarmi dalla malattia dell'amore, di quell'amore, ad esempio cantato per noi (o per me) da Julie Doiron in quel che forse è il disco dell'anno, calcato e pesante come pochi, come nessuno. Funzione simile a quella del diario dell'anno, zeppo di confidenze firmate Emmy The Great, protagonista inoppugnabile di una primavera incredibile di giorno, capace di ringiovanirmi di almeno una ventina di mesi e di evitarmi tutta una serie di situazioni disdicevoli seppur abitante di queste stesse. Ma tornando a tempi più recenti, l'autunno è stato meraviglioso, il mese di Ottobre straordinario, costruito giorno su giorno seguendo lo stupore per certi scenari e certe rivelazioni, sempre con la tranquillità di un tempo che potrà solo essere invidiato da qui o da Marzo in avanti. Il disco dei Kings Of Convenience, forse disco dell'anno, accompagnava infatti camminate irripetibili in altri luoghi, senza aver bisogno che tali canzoni trasportassero altrove un viaggiatore poco attacato alla realtà. In generale non era difficile sentire il ritmo dei propri passi a tempo con quello di una musica cosmica, questa stavolta degli Epic45, il cui disco, forse dell'anno, pari a un countdown, esauriva gli ultimi attimi di beneamata quiete, perché, senza fraintendimenti, quella dimensione, seppur ostica, manteneva stabili. D'altronde i dovuti ritagli di puro compiacimento non mancavano: evasioni al supermarket con il disco (forse dell'anno) di Jay Reatard in cuffia; vedere il disco (forse dell'anno) di Mos Def fra i battiti reali; trovarsi pochi metri distanti dalla lei dei Dead Weather, autori forse del live dell'anno; tradurre in megalomanie composizioni dalle risonanze più che altro istantanee, indipendentemente dal soggiorno svedese (col disco, forse dell'anno, di Bruno Pronsato) o dalla permanenza italiana (durante la quale le tentate storie riguardano le produzioni apocalittiche di Dakota Suite, i vampireschi ritornelli degli Hatcham Social e le argute intuizioni a nome di The Whitest Boy Alive, tutti quanti forse dischi dell'anno se presi singolarmente).

Una lista e non una classifica per accontentarmi ed evitare di regredire compiendo sforzi d'affetto immani e inutili.

Music by: All these artists
Photo by: Ernest Greene (the most amazing photographer?)

domenica 20 dicembre 2009

You will not remember what i show you now...

Lifted da ~Solarina.
Come per altre volte mi è andato di fantasticare su svolgimenti più armoniosi di questo, taluna, più che mai, riconosco la musica in un rito, celebrato al fine di spaventare, di riportare alla luce vecchie e polverose memorie seguendo il motivo, scellerato, che tanto ha spinto in direzione di quello che a tutti gli effetti si presenta sottoforma di tentativo. Come se la nemesi avesse manipolato da sé enti finiti, pedine nelle sue mani, per riportarsi a respirare con la possibilità di intaccare un riposo stabile fino ad ora. A parlare sono solo e sempre rimembranze, spettri di esistenze trascorse a negoziare con il diavolo, nottambuli sotto una luce irriducibile e poggiati su sedie di legno scalfite ovunque. C'è di mezzo insonnia e dedizione, talmente tanta perfezione che a riceverla quale prima opera non ce ne s'immagina alcun'altra. Questo se l'esperimento va a buon fine. Giunti dove siamo è giusto e doveroso annotare quanto sia difficile interpretarlo senza uscire da quella che è la sua natura, e ancor più farlo stregati da quei pochi e spettrali innesti che intervallano la spiegazione quasi severa e mai inconsapevole della portata di certe formulazioni. Incantati, dunque, si segue il corso incerto di tale flusso ipnotico, sfamati da lugubri citazioni e dialoghi mortuari ogni tanto, così da poter tollerare trattazioni che paiono rimproveri per labili menti. Dimentichi di ciò che mostrato, aberrante per scopritori immuni a simili incantesimi di un'ora, qualora il fallimento si presentasse, tutto farebbe ritorno allo stato di placida realtà incontaminata, surreale senza un male poco accanito e concreto come questo. La scoperta di un risultato ancora sconosciuto fa parte del piano, ed è terrificante, soprattutto sentirne la responsabilità addosso, come se già presi, catturati sicari per un disegno pazzo quanto irreversibile se compiuto. Una volta entrati è infatti negata l'uscita a quelli come me che di soppiatto scrivono della frenesia qui osservata, correndo la possibilità di esser colti e "ammoniti" per così dire. Da curioso ancora cosciente la mia condizione è così scivolata; ora, attonito recluso, posso solo che saziare la mia fame di sapere incrementando il successo di quest'impresa, e la diffusione di questa musica, che già rende più felici nel mondo di quanti non ne facesse prima del mio arrivo. Una volta tanto trovo una pietra preziosa che equivale al gesto, personale, di trattare queste righe e servirle quale avvertimento per l'auto-somministrazione ad una pura e bieca operazione di ammaliamento.

Music by: English Heretic
Photo by: Solarina

martedì 15 dicembre 2009

A basterd's work is never done.

http://l.yimg.com/k/omg/us/img/c5/43/1048_728193950.jpg?y=660&x=616&q=75&n=0&sig=Jn9U3pwyNozX_yO8IB.Tpw--
Per rendere in parole il giusto merito sarebbe doveroso annoverare i pregi uno ad uno, in quella che finirebbe per essere nominata una scheda, alquanto, tecnica. Molto meglio l'introspezione; quella del tutto personale, soggettiva e miope che guida spesso e volentieri queste descrizioni, che paiono capricci il più delle volte. Quindi tralasciando tutto quel che di "tecnico" possa emergere da una visione come questa, dirigersi verso i cari, miei, "capisaldi", sembra poter rivelarsi reciprocamente utile al mantenimento di un'immagine non proprio così riprovevole quanto potrebbe facilmente balzare alla mente in questione. Quest'abbinamento non vuole pertanto essere il principio, o meglio il secondo capitolo, di una prominente successione basata sul mutuo confronto, o scambio di munizioni, bensì una consueta dedica avente quali personaggi principali il colonnello Hans Landa e il tenente Aldo Raine: differenti personalità allo sbaraglio dalle buffe qualità carismatiche, tutte riconducibili a sfere di appartenenza ben lontane da quelle comunemente considerate come dalla moralità ammirevole, o dal fascino sinistro e misterioso perlomeno. L'acume da un lato, imbastito da una certa correttezza di toni, gesti e parole che d'altro canto della bieca e scarsa ipocrisia ("mai tenere il piede in due scarpe") si figurano i copritori; la banale inadeguatezza dall'altro, che, anche in questo caso, porta sulla scena le tinte grottesche e caricaturali di una macchietta irresistibile. Due soggetti a raffronto, ma anche due (le due massime) posizioni in cui l'uomo può incappare nella realtà mai tanto vicina così scenicamente resa. Ardua si presenta la scelta per simpatia dimostrata, non tanto a colpi di cannone, quanto a beffarde e spassose espressioni facciali, che portano a millimetrica distanza dall'immaginarsi amico, meno hollywoodiano, di qualcuno e di qualcun'altro. Più facili, perché direttamente servite, risultano invece l'encomiastica premiazione e l'imprescindibile condanna; e qui si arriva al succo della questione (e della storia). Molti conoscenti hanno tentato di rinnegare un ricco insieme di direzioni, di leggi e di ordinamenti fatti a persona, acquisito e diligentemente impiegato quando la realtà delle cose, vista da questi occhi, non coincideva pienamente con quella vista da quelli. Questo insieme prende il nome di codice, e per quanto possa essere trasgredito, in momenti di mera auspicabilità a un qualcosa di "esotico", finisce sempre per tornare utile, per essere mantenuto intatto, infrangibile, come una specie di ancora di salvezza. Questo una volta che se ne possiede uno, o almeno uno conformato e completo. Il possessore (primo) di tale codice sì, farà sorridere, perché in mani meno sagge proprio non poteva capitare, ma è anche il giusto dazio all'inganno impersonato dall'apparenza, fottuta iena canaglia per stupidi cani da guardia ai quali la si fa sotto il muso. Agli accesi, desiderosi di un giudizio meno criptico dovrà bastare l'ordine totale delle cose (ri)stabilito.

Music by: Inglourious Basterds Motion Picture Soundtrack
Photo by: Yimg

martedì 8 dicembre 2009

My girls.

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Non credevo che una presunta indifferenza potesse trasformarsi in incausato interesse e viceversa. Nessuno sarà geloso, perché chi la confusione vuol portare finirà per prendere in giro sé stesso senza alcun ricavo ad eccezione del tentato assalto ad una personalità piuttosto convinta delle proprie emozioni, pertanto si proceda con l'analisi del fenomeno prima d'ora mai nemmeno supposto dal sottoscritto. Ignoravo i connotati estetici (o forse appena li intravedevo) di una dea che traspare oro dai capelli, tutto focalizzato sulle incredibili e delicate doti canore che non si riflettono, ma che sono un tutt'uno di perfezione e grazia; un angelo immacolato, bianco senza macchie di ribellione, quasi uscissero soli "sì" dalle sue labbra, estremità di un condotto per il quale scorrono armonie concilianti e dalle quali paiono esalarsi baci senza direzione. Il giusto e introvabile riscontro per cui il compromesso va a farsi fottere, lo sciroppo che oltre a fare bene è anche buono, l'eccezione perché doppione di una chiave che sembrava essere l'unica in grado di aprire la porta del mio cuore seguendo il tracciato di un amore puramente materno, precedentemente unicamente percorso da una intoccabile del "genere". Per i più curiosi di tale categoria posso ammettere che il suo sguardo non uccide mai, portandomi a riconoscere la sua apparenza realtà, quasi si trattasse del più desiderabile essere ultraterreno. Dunque solo merito per un incontro che ha dell'incredibile, che matura il suo segno ancora adesso, affermandosi quale saldo ricordo per il resto del tempo. Il brutto salto nel vuoto è invece un altro, quello che ha tutte le effettive sembianze di un rifiuto in piena regola, dell'umiliazione delle umiliazioni, che mi prende dal paradiso e mi sbatte giù all'inferno in una baleno che nemmeno me ne accorgo, l'insuccesso, l'inadeguatezza fattasi evento. D'altronde chi si aspettava che costei potesse essere l'addetta alla mortificazione altrui? Io no di certo. Perché nonostane l'espressione furbesca e quell'insieme di lineamente così arcigno, dalle melodiche compostezze dei suoi brani, sobri e altrettanto timidi, in nessun caso mi sarei immaginato una situazione del genere, tanto sconveniente quanto deludente. Per molto ho rimuginato sul reale motivo di quest'accesa noncuranza, trovando solamente due possibili spiegazioni: una, la più favorevole ma anche la più credibile, risiede nella venerabile dose di esagerata insicurezza pronunciata da una artista che possiede nuovamente del carattere umano, senza oltremodo dilagare in assicurati recinti esclusivi ai soli beneficiati (o ingiustamente encomiati); l'altra, più cruda da digerire e similmente esempio di contingenze ogni giorno ripetibili nel mondo, riporta la mia attuale smania di conoscenza alla putrida e troppo poco malmenata sfera dimora del divo (termine suggeritomi ultimamente da qualcuno, estremamente adatto alla corrispondenza in questione). Per quanti riscontri possa aver avuto, non si tratta di una differenza di matrice (danese-svedese), ma di un'inconciliabile diversità fra modi d'essere. Pertanto, irrisolto il dubbio, tocca a me decidere quale conclusione tirare; e siccome naufragare nell'incertezza, seppur ricorrente, non è il mio forte, credo di aver già dato un corretto disegno a questo duplice e opposto avvicinamento.


Music by: The Raveonettes, Taken By Trees
Photo by: Jacob Langvad

domenica 22 novembre 2009

The make up the break up.

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Questa composizione potrebbe richiamare a sé miliardi di interpretazioni nonostante la sua soluzione finale sia una e una sola: la rottura. Tant'è, "geniale", la divisione in parti. Io prendo in esame il male, di come esso nasca, cresca e inevitabilmente muoia un pò dappertutto. Ed è una parabola di sviluppo inversamente proporzionale al gradimento/godimento del paziente che, insaziabilmente compiaciuto dalle atmosfere di calda e passionale riscossa occupanti il finale, si riconosce già un pò involontariamente schierato dalla parte dei buoni. La partenza è infatti una pozzanghera di assemblamenti, storpi il più delle volte, ribollenti, in una fase di cottura ributtante, ancora inadatti alla funzione di sostegno almeno saltuariamente agognata quando è la tenebra a calare. E' un motore lento a carburare e che smuove solo al primo taglio, quando i battiti, adesso compatti e stellari, innescano la danza così com'è, lasciva e spontanea, movimento indifferenziato che percuote qualunque corpo si trovi nei limiti prestabiliti di questo covo, pari a un comando, a un'esigenza, a un riflesso incontrollabile. Dunque si fa notte in un baleno, nonostante le intonazioni siano differenti e riconoscibili anche internamente, sfumate a causa del sapiente impiego di chitarre elettriche (?) e altre trovate ricercate del caso. L'ombra maligna è maturata e, nel mezzo, prende voce, il cui timbro è femminile, ammaliante, posseduto. L'influenza che essa esercita è micidiale, mai imbarazzante perché non lascia sopravvissuti, quando, sulla spiaggia, sembra ormai una menade a dirigere le ostilità, dando prosieguo a questa musica sempre più muta, debole e meno soffocante. Il male sta forse svanendo? Sì. Esso è una medusa al sole, si scioglie flemmaticamente, senza opporre resistenza, mai però abbandonandosi ad una fine precoce. Gli ultimi sibilli anticipano una chiusura che sa di gloria. La mia preferita nonostante anche io avessi preso parte al rito settario di prima, ora nemmeno più un ricordo perché purificato. Ci sono voluti degli eroi per distogliermi dall'incantesimo, per liberarmi dalla perdizione incausata, giunti dal nulla, forse incamminatisi da oltre la selva, con poche armi e compagni al seguito. Quella che ritornerà alla mente solo come un'allucinazione giunge a termine senza che il suono smetta di allietare il nostro spirito, ancora a rinvenire sotto la luce del meriggio. Ora la spiaggia, appena poco fa luogo dimenticato e scenario sconsigliato, pullula di gente pronta a godersi il gaudio del proprio tempo libero. Ma questo è un altro disco.

Music by: Bruno Pronsato
Photo by: Silent Heartache

mercoledì 18 novembre 2009

Evribadi needs somebody.

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Quando mi dichiaro alle persone come mosso da una significativa istanza puramente individualista, queste indietreggiano e nell'arco di pochi secondi, elaborando, smettono di giudicarmi per poi riprendere a farlo questa volta accogliendo la mia confessione come una minaccia dalla quale prendere precauzioni. E quasi lo fanno di nascosto, silenziosi come animali (a volte sbraitando come cani), allontanando la mia mancanza di solidarietà agli angoli per non infettarsi, loro al centro di una stanza metallica coincidente con la mia. Colpevoli alla pari, sprovvisti di una consapevolezza avanzata, disconosciuta nei casi di massima e ostentata devozione al collettivismo, migrano altrove, verso campi abbastanza grandi per accoglierli tutti, dove alle effusioni alterneranno il baratto di soppiatto o quello comprensivo di gesti grossolani e parole poco gradevoli, in una farsa di attenzioni e sentenze inattendibili. Ma gli sviluppi dimostrano come anche in una piccola comunità di quindici persone, l'egoismo sia la prima, e forse l'unica, esigenza umana, indichiarata allo scopo di sostentare quell'usurato giudizio che esce un pò dalle bocche di tutti. L'egoismo vince, inevitabilmente, in ogni caso: rinchiuderlo quale bisogno costituzionale, dandosi in vendita al primo passante, mitigherebbe di astinenza quella che poi erutterebbe come un'urgenza omicida, o, anche peggio, come un suicidio se d'implosione senza fine si tratta. Non serve essere familiari, vestirsi da amici, farsi passare per fratelli acquisiti; quest'irrefrenabile macchia latente investe sempre, paragonabile ad un istinto animale solo un po più ponderato e iniquamente anticipato da parole e servigi che valgono la qualifica di "civile" per chi si sforza quotidianamente di mantenere un proprio ruolo sociale, accreditatogli da un sistema malfunzionante e obeso di bugie. Molto più semplice risulta l'accettazione, motivo basilare per la corretta riuscita di una convivenza (perché da solo non mi responsabilizzo a tal punto da non ritenere quest'ultima indispensabile), degenerata nella pellicola in discussione proprio a causa dell'incapacità dimostrata nell'accogliere un dono, nel riceverlo quale messia, compromettendo di fatto una salvezza che, anche secondo la mia immaginazione pre-conclusiva, avrebbe avuto del clamoroso. Così, trucidata la speranza, nessuno sarà risparmiato, alcuna forma di insegnamento verrà trasmessa, e ad ognuno spetteranno le conseguenze delle proprie azioni, ad esclusione di un cane, metafora spalancata per molteplici interpretazioni (dalla sua sopravvivenza al suo nome). L'orribile fotografia di un atteggiamento per nulla incline alla versatilità, da sempre parallelo al mondo solamente fatto di istinti e procacciamento, uso e disuso, corteggiamento e abbandono. Lontano da una totalità, la mia onestà si consuma ancor prima di aver incontrato altre micce, di conseguenza, utopisticamente, ignoro come potrebbe essere l'atteggiamento umano secondo la mia alternativa. Tutti hanno bisogno di qualcuno, l'importante è capirne il proposito.

Music by: Blank Dogs
Photo by: killmenow

domenica 8 novembre 2009

Yes, i treat you like my mother.

Alison Mosshart da Ren Rox.
Come preannunciato, hai fatto talmente tanto con così poco che la tua immagine ha eclissato completamente il resto dello sforzo, sostenuto anche da altri tre che insieme paiono maestri dell'esibizione, questa volta però scivolata su di un piano secondario. Quasi non mi era mai capitato di concedermi al sonno preparandomi a (ri)sognare determinate circostanze per poi andarci così vicino. Avendo quindi perso il conto delle volte di questa settimana e non considerando, o semplicemente non confondendo l'anelito spremuto fino in fondo con un curioso potere del quale potrei sentirmi dotato, il nesso si rivela nuovamente identico. Così come ti ho ammirata poche ore prima mi sei apparsa in sogno: bellissima, reale, padrona e comunicativa, solo più interessata ad un soggetto inferiore, spento e appeso a un filo come me, pienamente informato della tua dotazione di forbici e armamenti vari volti alla mia distruzione, che equivale al risveglio piacevole, ma impacciato per rilasci in piena regola, di questa mattina. Il vederti epilettica e semicosciente con le mani intorno alla bocca ha fatto nascere in me tanta preoccupazione quanto è stato il sollievo rischiarato dal finale, momento in cui l'espressione mansueta amabile di sempre è tornata indelebile e angelica più che mai. Non c'è termine più adatto per descrivere quella di ieri sera come la conferma della tua apparenza e delle mie avveniristiche impressioni innamorate. Nella fantasmagorica creazione ancora vivida e in memoria sedentaria, fra carezze (sostituite a quelle scambiate e profuse un pò ovunque) e lingue anglosassoni captate (perché tradotte?), la differenza fra di noi emergeva uguale, con te che mi dicevi di essere una rockstar poco disposta a prenderti cura di un tipo sprovveduto e volendo buffo come me, servo di un appagamento autolesionista e con la moina sempre subito pronta. Tutto quanto prevedibile e già scritto da qualche parte, senza alcun rammarico per mancate consolidazioni da fiaba, ma anzi con il tepore ancora addosso di un rapporto veramente ravvicinato (avvertivamo entrambi buone vibrazioni dal nostro contatto). E' mia intenzione, di conseguenza, non mischiare quest'indimenticabile esperienza con simili condizioni precedentemente stabilite e imposte evitando il garbo da te concedutomi, perché la qualità di certe parole sarebbe questa volta pleonastica, perché rivedo le nostre azioni e immagino quella tua di adesso così lontana e autonoma dal mio mondo che quasi, scriverne a riguardo, mi fa sembrare più imbambolato del solito. Quel che rimane costante, realtà o parvenza che sia, è però il tuo ultimo sorriso, formula invariata e invariabile su cui poggia il mio desiderio, così bello che anche se impraticabile, addirittura proibitivo, si mantiene comunque irrinunciabile.


Music by: The Dead Weather
Photo by: Ren Rox

venerdì 6 novembre 2009

Balding generation (Losing hair as we lose hope).

Under the sea.. da Black Linoleum.
Vedere, leggere e ascoltare la fantascienza certo non aiuta chi vive in questo mondo. Là fuori infatti una dimensione come questa finirebbe ridotta a piccoli cumuli di macerie, e non è come vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, non è come scendere a compromessi per piccoli e istantanei piaceri da consumare fra cause legali e versamenti bancari. La musica, in questo contesto, e dunque l'arte in generale assume ogni giorno quel carattere temporaneo e quella funzione liberatrice che pio Schopenhauer andava raccomandando quale "breve incantesimo", capace di distogliere l'attenzione umana dalla realtà così preistorica a confronto, nemmeno minimamente paragonabile all'effimero filmato, di immagini e sottofondi assortito, che si riproduce in tutta la sua durata mediante un caleidoscopio di idee personali. Tornare con i piedi per terra, a tenersi in equilibrio fra la vita e la forma: questo è il nostro compito di tutti i giorni. Le opere diventano così tentazioni, illusioni, fino a quando qualcuno, qualcuno non ci finisce dentro, per poi intrappolarsi nella propria spirale ideale che fa l'effetto di sabbie mobili. Mi domando se esistono ancora gli alienati, o se a questo mondo tutti si fingono strani indossando emerite parrucche e abiti dalle taglie sbagliate. L'evasione in tal caso dovrebbe essere legalizzata, l'estasi infinitizzata, l'utopia cancellata, per un universo impossibile dove scorrerebbe allora liberamente questa musica galattica, con tanto di cure Ludovico e balde generazioni (non calve). Servirebbe un formato fatto su misura per ognuno e secondo me si eliminerebbero anche le avversioni; improvvisare le relazioni per affinità sarebbe poi lo spirito, non costrittivo, che spingerebbe questi uomini così tutti visionari a "socializzare", dando origine a comunioni spontanee, amori leggeri e funerali realmente celebrativi. Fantasticare su tali assurdità è compito da non abbandonare nemmeno per un minuto se l'estraneità si vuole mantenere, l'unica via da imboccare è infatti quella della persistenza, esasperata fino a plasmare la totalità a proprio piacimento, in modo da vivere reltà distorte alternative a facili e offuscate prime scelte fatte di abbandoni e schiavitù irreversibili. Con ciascuna di queste tecniche la reazione, placebo o meno, è assicurata, dopo sta all'individuo scegliere: concedersi semplicemente oppure estinguersi, osservarsi dall'interno guardandosi vivere. Ecco i veri disadattati.


Music by: Epic45, Moderat,
Port-Royal
Photo by: Black Linoleum

lunedì 2 novembre 2009

Easy as pie (The house).

Dexter-Morgan da Jamie(bn(tp)c).
Il codice di Harry è infranto. Del tutto questa volta. Prima ancora di considerare l'atto di pietà in sé, lo si legge nel volto di chi, a commettere "sgarri" sempre prontamente (auto)riconosciuti, d'un tratto riceve approvazioni susseguenti l'una all'altra: prima l'amico vero, quello che non ti abbandona nel momento del bisogno, che sacrifica, rinuncia e si colpevolizza riconoscendo buon senso e ragionevolezza al proprio compagno in situazioni come dire, compromettenti; poi gli affetti genealogici, incarnati da chi sempre in un angolo ha tenuto il proprio personaggio di "interno alle faccende", sapendo e ignorando, per l'intera durata delle indagini, verità camuffate ad un pubblico non troppo condiscendente. Quest'ultimo, la sua finale espressione, le sue ultime parole sono la prova che ciò di cui incerto fino a ieri compivi, non ha bisogno di essere ricondotto a certi termini, a certe leggi andate a male, formulate da un padre nauseante sulle lame da lavoro insanguinate. Tutto questo impegno di sostegno "morale" vale molto di più di quello che può sembrare agli sconosciuti del caso; vale a dire infatti pace, liberazione dai lunghi, e di sicurezza ottenebranti, tormenti sul trovarsi nel giusto, sul sentirsi cattivo con la scusa pronta del codice. Quest'alone si è sciolto come scongelato, passando per ambienti più caldi anche per gelidi geni solitari. Ora Dexter Morgan non segue più istruzioni preventivate da altri, né modifica queste a proprio piacimento; egli ha ormai raggiunto una sua maturità d'azione non più giustificata, ma indipendente, vigile in base alle scelte malsane di ognuno, in base al giusto non relativo. Ha preso in mano la propria vita a tutti gli effetti, decidendo la morte per gli altri quale autentica mano sinistra di Dio, al fine di rendere giustizia, cessando il dolore per chi ne commette e per chi ne soffre. Ho sentito scivolarmi addosso l'estratto del tuo passeggero oscuro tante volte ma se devo scegliere, fra datate rivelazioni e squilibri precari, questo è il passo della tua vita che più preferisco, perché sorprende ad ogni avvenimento, comico o responsabile che sia. Le mie ancora acerbe sensazioni le lascio da parte in modo da godermi, rilassato, momenti d'oro da incorniciare come questo, in quanto so che la prudenza per uno come te non è mai troppa. Vero?

"Tutte le persone che ho ucciso mi hanno chiesto pietà, un concetto che non ho mai capito... finora."
"Questa, questa è la pietà. Ma solo per un'amica".

(Dexter Morgan)

Music by: Daniel Licht
Photo by: Jamie(bn(tpc)

Dreams vs. flashforwards.

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Finalmente s'intravede qualcosa. Nel senso che, a questo punto (episodio sei), anche Flash Forward merita di essere seguito con una curiosità pari a quella minima indispensabile perché ciò avvenga. Di motivi per fare il contrario ce ne sarebbero fin troppi: un riciclo di attori, che per me sono personaggi reali a tutti gli effetti, senza pari, che infastidisce ad ogni nome proprio di persona pronunciato (si elenchino Penny, Teresa, Daphne, addirittura Charlie); cavilli giuridici, ambienti sofisticati ma indigini che non hanno né capo né coda se si considera che il futuro è stato visto e in un modo o nell'altro si sta realizzando, sempre che quello delle premonizioni sia davvero l'avvenire; il dato, banale, per cui non ho mai digerito Joseph Fiennes e la sua carica interpretativa esageratamente teatrale che, paradossalmente, in questo seriale mi risulta divertente e, lui, a tratti simpatico e piacevole. Quindi, il motivo scatenante attenzione e dedica non poteva essere altro che una particolare scena, di quelle da avere tagliate e da conservare nell'archivio tra le migliori, grazie alla quale il briciolo di umanità che galleggiava nell'intera serie ha preso forma per almeno quattro minuti. Fin dal principio trovavo infatti il mio interesse esclusivamente rivolto, tralasciando Janis e la sua presunta lesbicità, all'ambiente clinico della dottoressa Benford, con tutte le ripercussioni che ne potessero derivare all'interno del suo dominio affettivo, della famiglia insomma, che inevitabilmente si frantuma sotto i piedi dei suoi componenti intenti a studiare il giorno che fra sei mesi li avrà resi ciò che stanno iniziando ad essere, senza che alcuno riesca contro la fatalità del futuro, che poi è il destino intrinsecamente reso. In quello spaccato emerge la colpevolezza anticipata di azioni già scritte, non ancora concretizzatesi per via di un tempo lento e quasi imbecille rispetto al suo inesorabile pilota, capace di recare futili speranze di salvezza da un'apocalisse ('Knowing Animals')? Mi rendo conto che prematuro sarebbe inquadrare il tutto senza rivelazioni ancor di più necessarie per un dialogo, un parallelo fra chi ha avuto dei flashforwards e chi ancora si limita a sognarle certe visioni. Inutile è, in ogni caso, paralizzare le proprie vite all'insegna del loro corrispettivo disegno per il semplice capriccio di immaginarsi diversamente, in condizioni migliori e non per forza di cose morti. Ammetto che non è facile a dirsi, ma quando altro non si possiede all'infuori di un'unica, fondata o meno, convinzione e di un viso impresso nella memoria, sbilanciarsi incutendo timore a se stessi quando certi riferimenti vanno perduti non sembra proprio la soluzione più adatta. Nel mio caso c'è in ballo l'amore di una vita, la cui mancata realizzazione brucerebbe quanto un disinfettante per ferite fresche, mentre questa è vicenda altrui, comprensiva di addii a funzioni respiratorie o peggio. Ma chi può giudicare quale perdita sia la più grave? Be' io penso di poterci riuscire, e osservando dall'esterno la situazione di questi ancora poco sintomatici protagonisti mi asterrei dal giudicare, ma con il tempo e un paio di puntate, un'ipotetica individuazione non sarà poi così difficile da esternare.

Music by: O+S
Photo by: abc

sabato 31 ottobre 2009

Mommy can i go out to kill tonight?

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C'è chi ha bisogno di festività per sentirsi un giorno più spaventoso rispetto al resto dell'anno e chi no. Questi ultimi vivono con il presentimento, perturbati ad ogni attimo e ad ogni gatto incrociato all'angolo, tragugiando vizi e manie mica da poco se si contano le merendine ingoiate (e quelle non digerite) alla fine della giornata. Ora, di questi tempi moderni, i mascherati sono soliti quella notte bussare alle porte, recitare domande che già presuppongono ad un'unica e solita risposta, intagliare zucche a scopi ornamentali. Essi sono soliti conciarsi nemmeno fosse Carnevale, lasciarsi cariare denti e gengive per qualche ora considerando tale resa temporanea un gesto di insensatezza da non ripetere. Come spiegare loro che di certe visioni, musiche e letture il mondo è pieno anche nei residui (agli occhi di questi) trecentosessantaquattro giorni? Servirebbe un lavaggio del cervello, o comunque un lungo processo curativo o infettivo (dipende dai punti di vista) per riuscire nell'intento, ma la ricetta quì pronta, in quattro e quattr'otto preparata, vuole essere un semplice invito, visto per gelidi risvegli e lucidità perse, divorate da un'angoscia implacabile a "suggerimenti" disintegrati. Vuole essere una condanna bella e buona, un sunto del sopracitato lavaggio di cervello improponibile così poco distanti da celebrazioni e uscite fuori porta solo un pò più macabre. Quindi bando alle ciance e si cominci con l'argomento primo, quello di ambito musicale con le proposte che, mai sole, sono sempre accompagnate da suggestioni raccapriccianti che bruciano quanto marcate a fuoco nei pensieri desti di uomini stabili all'apparenza ma inquilini di uno specificato senso d'incombenza su se stessi. Esorcismi impraticati, bagni di sangue, occulte presenze e trapianti non propriamente riconosciuti sono le immagini portate a galla dai beneamati Paper Chase, incubi materializzatisi realtà in catastrofi riempite di musiche orchestrali che, stonate, aleggiano di gotico fra schiamazzi vampireschi e archetipi cantati continuativamente. Stessi motivi, salubri per l'atmosfera strettamente narcisa e biologica, pervadono i testi delle sorelle Ghost Bees, spettrali nel nome e nel suono monolitico, costruito su di un intreccio di corde e mandolini stridenti ma persuasivi, immobilizzanti. La playlist potrebbe continuare in (deviate) direzioni: una, quella della poesia aggressiva e medievale che rinvia ad una sola sigla ahimè inscindibile (MCR); un'altra, rivolta alla scelleratezza meno onirica, più cruda, fredda e pungente di mente Mac Blackout (proseguendo sugli orizzonti nuovi e appena solcati di Slim Twig); e ancora sfilando e pogando sugli incauti ritmi di Jay Reatard, su quelli più tenebrosi (e hardcore) dei Misfits, concludendo con lo scherno indirettamente pronunciato e interpretato da Hatcham Social e Horrors. Il secondo campo, impossibile da non nominare quando si trattano certi argomenti, è quello della cinematografia, sempre più estrosa forma di rappresentazione di racconti da caminetto. La visione del giorno, su illustre consiglio, è stata "Il Mistero Di Sleepy Hollow" di Tim Burton, in cui streghe e scenari decadenti avvolti da una fitta caligine sinistra la fanno da padrona, farcendo i risvolti intricati dalle soluzioni prevedibili di cadaveri maleodoranti e scimitarre sguainate. Le altre raccomandazioni, decisamente più affettive, riguardano i sempre cari "The Others" di Amenábar e "The Shining" del maestro Kubrick: differenti trasposizioni cinematografiche, entrambe di mio gusto (e ai vertici delle preferenze) perché ambedue basate sulla considerazione fondamentale dell'edificio in sé come causa radicata del male. Con quest'ultimo sbalorditivo concetto il collegamento alle eccellenti letture, che rientrano nel terzo ed ultimo ambito, di E. A. Poe è immediato: narrazioni curanti fino al minimo dettaglio dell'introspezione di protagonisti immersi in paesaggi vibranti, effettivi ma di dati resi vacui da apporti puramente al di là di ogni collocazione geografico-temporale, sfiorando l'ignoto. Non solo impressionano ma avvincono anche, catturando l'attenzione di un lettore avventuroso e coraggioso quanto basta.

Con la speranza di invogliare qualcuno a non abbandonare tali premesse non mi dilungo oltre. Ognuno si goda la propria serata di Halloween, sia essa vissuta da protagonisti o da mere pedine di operazioni commerciali.


Music by: The Paper Chase, MCR, Ghost Bees, Misfits, Jay Reatard, Mac Blackout
Photo by: celagiochiamoacarte?

giovedì 22 ottobre 2009

Put your hands on me.


Avere amici musicisti è una di quelle informazioni da render note per prime durante una presentazione, quando anche minimamente si avverte il proprio ego gonfiarsi a dismisura, che questi siano i Crookers o meno. Ma dirlo dei Crookers penso sia pari a sentirlo, più facile da sopportare, meno difficile da sostenere, evitate le minacce di maschere arroganti e snob che di tutto fanno meno di permettere entrate nei backstage e contatti umani che, li sciolgono ai supereroi? Perché in tutta sincerità l'ingenuo e nuovo disco di Bot e Phra può meritare, in termini di qualità, gli stessi identici apprezzamenti del vecchio di un mese disco dei BB, solo che le risate aumentano e la tentazione di riprodurlo è viva e ancora calda quando le circostanze, estremamente dancehall (e quindi parties, costumi e mojito a manetta), si propongono e ripropongono, per quanto? Nel senso, per quanto ancora? Sono ormai quattro anni che prima s'intravedeva (con M.I.A.) e ora si conferma (con Major Lazer e i qui presenti) questo come il futuro della musica, un futuro sempre più prossimo per diffusione su grande scala ma che sembra poter promettere e comportare minori doveri di catagolazione, insomma, per un genere ballato in discoteca e trasmesso in radio perché no. Sì le due cose possono sposarsi finchè questi due mi fanno piacere la reggaeton. 'Put Your Hands On Me' è una bomba ad orologeria pronta ad esplodere nel mezzo di una pista affollata e sudata, e personalmente anche se la sentissi dal di fuori del più ordinario e sputtanato, per frequentazioni da parte di studenti in vacanze di pasqua, dei locali della riviera ligure, a minuto 1.03, la ondeggerei con balzi alternati a mani alzate. Per il resto, sembra che l'iter musicale intrapreso da ragazzini sia oggi arrivato ad una sua omogeneità senza tralasciare nulla: dall'hip hop dei tempi di Dargen D'Amico ('Suoni Da Deephouse', 'Bermi Un Gin Tonic Col Naso', in breve il "Mixtape" del duemilasei) a quella di Kid Cudi (non so ancora chi sia il sopravvissuto a 'Day 'N' Nigth'), passando per le bravate a me tanto care (i remix, leggendari quelli di 'The Salmon Dance' e 'Thunderstruck'), concludendo con la produzione di una svariata serie di Ep che poco preannunciavano quest'ultimo e netto... convincimento? Ritorno alle origini? Non so, ma una cosa del genere ci assomiglia. Ciò che importa è l'essere rimasti con i piedi per terra. Sì, il telefono squillerà più spesso e le mail si accumuleranno per collaborazioni scottanti ma pur sempre da capogiro per chi, umiltà e sorriso, non li ha mai persi.


Music by: Crookers
Photo by: Eros Turannos

lunedì 19 ottobre 2009

21 grams of void, more and less.

21 Grams da missy & the universe.
Ho risolto il rebus della vita. Essa non si cambia, essa si migliora o si peggiora. Letteralmente. I serial killer non mutano la loro natura guarendo dalle proprie insanità, semplicemente fanno ciò per cui sono propensi, seguendo la propria natura, l'indole che li ha spinti a tanto e che li spingerà ancora, sempre secondo un sistema fisso fatto di più e di meno, di equilibrio, di scompensi e sovraccarichi. Non so ancora chi lo abbia ideato, se un dio egoista controimmagine di altrettanti miliardi di individualisti, ma so che c'è e che agisce su tutti noi, valendo da coincidenza, probabilità, caso, fortuna, sfortuna. E le nostre scelte ne smuovono i tempi d'ordine, ne alimentano la funzione, intensificando il trasporto anche dei minimi e relativi eventi. Un brutto incidente, la gioia smisurata per una vincita o per la realizzazione di un fatto inaspettato, insperato, l'appesantirsi di certe malattie e la morte prematura: vi possono sembrare tutte conseguenze di singole scelte? E se queste si protraessero oltre, lo pensereste ancora? La risposta fa riflettere sull'arrendevolezza di cui gode l'uomo a sua insaputa, il quale si sente libero di decidere per gli altri e per se stesso su questioni macroscopiche per poi ritrovarsi a formulare svariati "se avessi" e "se fossi". Tutte le scemenze del carpe diem, dell'acchiappare il momento unico, irripetibile, unica via d'accesso alla vera felicità, nient'altro che i nomi, le definizioni di alcune delle possibili e singolari prospettive portate dalla logica, optate da un dio, è la stessa cosa. Il respiro di qualcuno poi potrebbe essere sincronizzato con quello di qualcun'altro, certo, ma solo e sempre rifacendosi a quella spinta egoistica sopracitata, tendenza asessuale, biologica a mio avviso. Perché la vita continua; con queste condanne, ma continua. Il nome di mia figlia lo sceglierò in base a tutto ciò, dando retta a quel che mi ha plasmato nel corso degli anni, senza che lei ne possa volere uno, desiderarne un altro, perché, chi lo ha scelto per lei? Il burattinaio, lui che è venerato e pregato per motivazioni ancora una volta riservate ai peccatori e agli scontenti della propria vita che non tentano di suicidarsi, lui che altrimenti è popolare sotto il nome di "destino" e spaventa e minaccia le vite di tutti. Perché se così inteso, cosa che il vecchio Kierkegaard non approverebbe, le scappatoie dirette al piacere, quello finto, si sprecano a due ed entrambe fallimentari. Allora è davvero Dio? Per la risposta è richiesta l'autoconferma, è necessario sapersi e sentirsi realmente convinti? Non conosco e non so, quindi al momento predico l'ipotesi precedente. Non voglio convincere nessuno, mi è bastato autoconvincermi con la prova del nove che tanto assomiglia a un'accettazione della verità: io prima avevo e ora vivo col vuoto, la mancanza, pieno di desideri appropriati dalla perfezione mai testata; sono l'aggregazione e la dispersione che mi hanno equilibrato, e l'artefice di queste evoluzioni neutre non può essere una semplice scusa da poter incolpare ad ogni sventura, da dover ringraziare ad ogni successo.


Music by: Fink
Photo by: Missy & The Universe

domenica 18 ottobre 2009

Easy leisure our lives.

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Questo ragazzo sarebbe da incontrare. Nell'arco di un mese, con due autentiche collezioni vintage e dalla placida leggerezza cosmica, rasenta non schemi d'arte dream pop da tenere chiusi nel cassetto per il resto di ogni letargo lungo fino alla vecchiaia, da rispolverare solo ed eslcusivamente durante le stagioni estive di ogni ammaccata annata. Durante le quindici pepite, glicine ovunque, e si può sentire la frescura delle sette di sera sulla spiaggia, e si può vedere il pastello colorare paesaggi balearici che, in (scarsa) qualità di suoni e in eletta quantità di suoni, supera anche compimenti e complementi svedesi che dire preziosi è dire poco: progetti nuovi di capi non alle prime armi, Fontän; barbabietole coltivate in riva al mare a mò di bagniasciuga direttamente dai neo-avveduti Lake Heartbeat; gioielli, anch'essi in serie e numerati, dal valore inestimabile targato jj. Sì, lo dovevo ammettere. Si è rimboccato le maniche di una camicia immagino sgualcita e, dagli USA, ha sorpassato musicisti che sono esemplari europei per gli avvezzi e i sapienti del genere. Il come so che è contenuto qui dentro e lo raccomando di sospensione e violazione a futuri castighi, magari anche coniugali, non solo paternali. Perché si è ancora troppo giovani per fare la fine che si deve fare. Perché c'è il mare, anche con i vestiti indosso e le visioni di noi stessi dai volti trasfigurati che tanto dannano l'animo e alimentano di complessi i nostri serbatoi vuoti di sicurezze. Certezze, ascoltandolo è come se ne avessi e non, in uno stato di pausa prolungata in cui tutto è calmo, piatto ed etereo, quasi spirituale in un palcoscenico naturale di auree supine e lievitanti, libere di muoversi e volare in qualsiasi direzione senza recinzione o divieti prestabiliti. Nessuna dedica speciale se non all'amore generalizzato di una riviera febbrile, gremita di saponette, tavole da surf e intelligenze addormentate profumate al crepuscolo unico per colori e delirii soffocati in lacrime per via di un'atmosfera rarefatta, la più sopportabile. Mi sta ipnotizzando a incalcolabili livelli entropici di smarrimento da condizione, sento lo stomaco che al terzo giro dal via ne risente. Congedo il tutto avanzando un ultimo attimo di divertimento al passatempo di questo dio non sessista, traghettatore di anime involontarie, primo, assoluto e inequivocabile in questa sua scogliera.


Music by: Washed Out
Photo by: Ernest Green (maybe)

venerdì 16 ottobre 2009

Declaration of dependence.

He and His shadow da Sandra_R.
La scuola era una discarica abusiva di idee poco immacolate, di rivendicazioni, di cospirazioni, della quale io facevo parte. Questa musica per fortuna esula da tutto ciò, suonando come il vento che solca e increspa quel poco le acque consistenti che paiono presenti e mute all'osservanza di leggi elaborate e delle loro potenziali sovversioni. La leggerezza di un viso stupito in foto; ecco ciò che servirebbe. Ecco ciò che mancherebbe. Perché la formula per loro mai è cambiata, mentre giunge per me alitando ancora secondo temperature miti ma di una freschezza unica, impareggiabile pure al nord. Così una serie di chiavi ne apre una di lucchetti, il Sole scende per un nuovo appuntamento chiamato Inverno, le persone, poche, ammirano e commentano lo spettacolo adiacente con parole di lingue diverse, mai le stesse seppur simili e somiglianti. Ma il mio vago pensiero, dopo queste adatte constatazioni, paradossalmente si dirige e fa ritorno a quella foto, di mia mano anche se sprovvisto di conoscenza e perciò di angolazioni da poter sfruttare e di tecnica, in quel sogno che così esperienziale si colora ancora nei minimi particolari di lentiggini e di occhi non azzurri ma blu come quello stesso mare. Sembra che il mio mondo, con questi accordi di sottofondo ('Mrs Cold'), non conosca malattia, sia fatto solamente di sorrisi condivisi in pomeriggi liberi e consista soltanto in un momento: questo, quello che vivevo ieri, immaginato oggi insieme a te, mai realizzato. Sono parole poco costruite perché semplici descrivono una realtà fatta su misura, ispirata da cicatrici che ieri erano poesie ('24-25') e non bruciavano, ma venivano scritte in solitaria, sotto l'ammirazione generale di chi, singolo o in coppia, capitava lì per caso e, colpito, cambiava i suoi programmi o forse la musica lo faceva per lui. Si ascoltava ('Boat Behind') ma soprattutto si osservava ('My Ship Isn't Pretty'), mentre la mente disegnava il resto, così succintamente reso perché troppa la vastità di questa creazione, perché ci vorrebbe arte che sento solo di poter sfiorare incautamente. Per molti è un finale passabile per idee consumate a non far niente, a vivere essenzialmente e in verità, lontani da ciò che accade al di là di quell'orizzonte. Per me invece, è la parata iniziale in una spiaggia vuota, riempita di storie flessibili, per questa volta, per una volta, decise per intero dai protagonisti con l'aiuto spontaneo di una compagna speciale. La mia storia dura due giorni e forse ogni qual volta risuonerà quest'indomabile riflesso in cui galleggia uno sguardo sorpreso con l'attenzione a me rivolta, con la complicità mai provata che d'un tratto sovviene ed emoziona almeno quanto nella realtà.


Music by: Kings Of Convenience
Photo by: Sandra R.

lunedì 12 ottobre 2009

Said the spider to the fly.

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In bilico tra la forma e la vita. Me lo hai dimostrato tu. Mi hai segnato, mi hai fatto trasudare, mi hai cambiato e ora mi hai fatto crescere. La vita è un compromesso ma il sollievo raggiunto ad un traguardo insperato è massimo, assoluto. Ci saranno altre crisi, ma nessuna potrà mai mettere a rischio un equilibrio così guadagnato come questo. Poco tempo fa odiavo certe risposte sputate fuori da una bocca forsennata, alcune esposizioni, diverse confidenze troppo ardite, mentre ora, non solo rivedo tutto quanto come un duro lavoro, ma godo anche del possesso di tale, enorme disposizione. Una chiusura ermetica, esagerata sulla pelle di chi veniva da ossequi adolescenziali, accuse e rimorsi incandescenti, seguita da uno scompenso di contrattazioni irrinunciabili al genere umano, sino a concludere la difficile ascesa concedendosi a tratti, con l'odio per se stessi e la vittoria, la presa di coscienza subito dietro. Perciò, si dia inizio alle danze, sventolino le bandiere e suoni quella musica tanto trionfale, il nuovo Dexter si è scoperto di volta in volta ed ora è arrivato, mai così calmo ed emozionato. Il sottoscritto uguale. Quella nostra è stata una catena di passaggi tutti da studiare, una fatica eroicamente portata a termine. Il rapporto fra il vero e la finzione, impossibile rinunciare a l'uno o all'altro, si deve per forza vivere secondo patti stipulati per tenere a bada gli altri, le iene pronte a svezzare buone usanze di distanza, e noi stessi, lupi terrorizzanti e terrorizzati. Nessuno si accorge di quanto valga questo ingresso, diverso da tutti gli altri per le emozioni provate, che si leggono sul viso, un tempo malamente interpretate oggi spontanee, nemmeno poi paurose. L'accettazione è solo il primo passo di una svolta conclusiva meno amara, di un riconoscimento e un'identificazione nella parte precedentemente recitata; i termini perdono i significati iniziali e assumono valenze neutre ma indossate in prima persona. O meglio:

"Essere un fratello. Avere un amico. Avere una moglie, una famiglia. Fiona, lo desiderava a tal punto da inventarselo, da interpretare lei tutte le parti. Ma, se si interpreta una parte a lungo, se ci s'impegna davvero, diventerà mai reale? Io potrei diventare reale?"

"Molti attori lavorano duramente nell'oscurità, senza mai affrontare le luci della ribalta. Ma se affini la tua arte, se lavori con diligenza, puoi ritrovarti ad interpretare il ruolo della tua vita."

(Dexter Morgan)

Music by: The Paper Chase
Photo by: Daemon's TV

domenica 11 ottobre 2009

Leave behind?

don't panic!!! da cin@|photography.
Ho più controllo di quanto credessi. Avrei il totale controllo se solo non incombesse ogni sera o mattina che sia, lo spettro indiscutibile di una dedizione al crollare, allo sputare sangue, al limitare se stessi, al credersi o sentirsi nullità vagante manchevole sempre, in ogni luogo e tempo comunque. Questa è una gran giornata a Stoccolma. Vantiamoci almeno tutti quanti di ammettere la realizzazione di un obiettivo poche volte messo in discussione ma decisamente instabile in sicurezza e premeditazione. Il resoconto di una settimana è infatti positivo quanto basta: pomeriggi intensi trascorsi ad astenersi non da seriali televisivi (qui danno addirittura le repliche di True Blood in inglese), ma bensì da tranquillità e silenzi ingrossatisi; autodelucidazioni su varie sperimentazioni culinarie; una conoscenza extra-ordinaria con probabile infatuazione (somaticamente svedese al minimo), disidratazione post-birre e visionarie esibizioni in locali a dir poco somiglianti a quelli californiani, nonostante la patina avvolgente le ancora miti ultime serate italiane sia uscita di scena da un pezzo. Provvederò riavvolgendo il nastro "Hello, Control". Raccapezzandomi in parti del tutto invariate, smaltisco così i postumi di più incontri in uno stesso insieme gentili e accoglienti, interrogandomi non troppo di frequente sui presupposti inesistenti di un soggiorno appena cominciato con il piede giustissimo, compensato da una mancanza di scopi concreti, ma per chi, infondo, così indispensabili? Sì, il nome di qualcuno forse potrei farlo, anche se non propriamente reso vivido nel suo essere mai rivelato, quanto più mia soppesata rappresentazione elitaria. Qui almeno non si respira l'aria pesante che, escludendo l'ultimo anno e mezzo di vita, caratterizzava una riviera ormai prigione di eredi. Poche le letture e gli studi musicali per questo paio di giorni mentalmente impegnati da un binomio di intenti, in un harem dall'elevate escursione termica; io fuori ieri sera, ci sudavo con questo freddo. Osserverò gli sviluppi di tale situazione, sorpreso, compiaciuto ed emozionato da messaggi in lingua straniera, sfogando i rigurgiti, assopiti in quegli attimi, solo durante alcuni "intervalli", esattamente come prima, con l'augurio che essi vadano esaurendosi con l'adattamento. In riproduzione un girotondo di sguardi contati intorno a un fuoco acceso (appartenente a "Good Arrows"), ma non smetterò mai di dire, proprio riguardo ciò, che il migliore album dei Tunng è il primo: orchestrazioni ai cereali, chitarre morbide, innesti da ricostruzione o quant'altro; è assolutamente questo l'alone mensile, proseguendo per colorazioni del tutto opache e grigie.


Music by: Tunng
Photo by: cin@|photography

Fall in love with you hurts me.

si mischia tutto con il caos che genera caos e azzera le certezze : da VL -.
Dovrei trovargli l'appellativo giusto a all'intimidazione subita ogni qual volta un viso come questo tenta e riesce ad ammaliarmi, facendomi suo schiavo senza ricompense, senza alcun tipo né forma di appagamento pronto da riceversi come poche volte in precedenza, come nei sogni, atipici, sinottici di eventi e trame ma tattili quanto realtà. Questo schema si dilunga e si ripete affiancato da un'altro tipo di attuazione (vedi notte scorsa e sovrastante ricalco), rafforzato da quell'insieme di ritorni perturbanti chiamati coincidenze o destino certe volte, alle quali non so ancora se credere o meno; il mio sembra essere infatti un tentavio continuato, una ricerca interminabile, un insieme di scelte da dover prendere per poi cascarci ancora e un'ultima volta, arrendendomi a ciò che fa male e non riesco a evitare. Gli occhi angelici trattengono perfidia, le guance morbide e riposate non premettono il dolore causato dal desiderio negato di un contatto, le labbra serrano un urlo; l'osservazione di una realtà idealizzata ed enucleata, senza identificazione altrui. Dal nulla o dal debole e solleticato interesse per una persona esteticamente e psico-virtualmente da scoprire è sbocciata, causa unica l'immagine incazzata presente fra lettere in giallo e in bianco, una dipendenza naturale al rifiuto mai direttamente esercitato, colto in rituali immaginari, dato da microespressioni facciali del tutto soggettive, che portano a chiedersi quale sia il tono della tua voce, a richiedere la tua assonnata attenzione nella mezzanotte di ieri sera, ad amare il tuo nome prima poco considerato. Sempre più mi riconosco maniaco, spione ineluttabile di suggerimenti carnali quando queste circostanze si susseguono dandomi da vivere in fondo, altrimenti preda di una tramonto prematuro. Col dubbio di non aver reso abbastanza l'idea a te degna, mia inarrivabile musa ispiratrice, esprimo in pochi termini il succo di un'impossibilità a condividere pari sentimento: la distanza è come se non fosse mai abbastanza. Guardando il tuo volto è come se mi squadrassi dall'alto e mi giudicassi per quello che sono, facendoti ribrezzo. La mia visione è pertanto distorta e arretrata, contraria probabilmente ad una realtà della quale poco mi importa per precauzione, inespressa ma valida già come sentenza. Presto o tardi liberarsi dai tuoi servigi sarà possibile, ma non da quello generale che mi condanna; per il momento mi limito a dedicarti queste accorte e spero ben accette parole.


Music by: Julie Doiron
Photo by: VL

domenica 4 ottobre 2009

Finally out! "Power" by Boys Noize.

hardcore (me and my dog) da .sinapsi..
Non sarebbero stati prolungati ancora per molto gli ascolti infastiditi di una versione promozionale rilasciata con lo scopo unico di ridurre a una fame esagerata di nuovi e agitati beats. Ora ne si può godere l'ascolto, identico al primo estrapolato fra le previews di juno tre anni fa, con la totale certezza, accumulata via anticipazioni niente male ('Starter/Jeffer' per prime, 'Kontact Me' come apertura di leggendarie sessioni, e 'Waves/Death Suite', signora collaborazione con Erol Alkan), con la medesima convinzione di trovarsi davanti a un perfezionista del genere. Al perfezionista del genere in termini del tutto personali. Un lp come "Power" dimostra quanto una piccola schiera di artisti facenti parte di una scena in condizioni di espansione massime (anche in termini di contaminazione buone e cattive, s'intende), sia ancora rimasta mirabilmente legata alle radici (techno) senza particolari cessioni di influenze proprie in cambio di un video su Mtv. Altre generazioni? No. Il folletto canadese, pur provenendo da un background musicale vario e diversificato, ci era riuscito ugualmente (con 'You Gonna Want Me'), e oggi si ripropone con questa ideazione del tutto fuori dalla norma, remixando 'Black & Blue' dei Miike Snow come nessuno sarebbe stato in grado di fare. Boys Noize uguale: reperisce avanzi di vecchi pezzi di elettronica, (oggi) li suona puliti e assembla il tutto come se fosse musica da ballare per decerebrati mentali. Questo sospirato trattamento, perché di una lunga ed elaborata lavorazione si tratta, include inoltre esperimenti inediti, con tanto di composizione acquariologica ('Nerve') e una marcia percussionistica che inconfondibile ha atmosfere di una spedizione spaziale ('Trooper'), prestiti a basso tasso d'interesse (sentire Djedjotronic e Strip Steve), e una calotta cosmica da riparo a missili e bombardamenti di dati input mica salubri. Meno spettinato, più ordinato e maturo è il nuovo, o ultimo perché non rivoluzionato, suono di Alex Ridha. C'è questo nuovo (capo)lavoro, sessanta minuti da poter scaricare gratuiti sul suo blog (per comprendere quanto ormai abbia imparato a mixare bene), e un giro del mondo appena annunciato a dir poco imperdibile con tappa italiana in novembre. Sottofondo roboante che fa l'effetto di un disinfettante ed è introduzione epocale al potenziale finalmente distribuito.


Music by: Boys Noize, Tiga
Photo by: sinapsi

venerdì 2 ottobre 2009

Stessa formula magica: "A Dustland Fairytale" by The Killers.

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Una giornata trascorsa a riassaporare il gusto classico di opere passate e nuove, fatta di saluti veloci e di cariche onorifiche è una giornata intensa. Sfiorato da suggerimenti impersonali ma soprattutto carezzato da un'enfasi ben distinguibile dalle altre, se considerati i contorni di in una portata mai occupata nel solo centro, la decisione è stata quella per un riepilogo, svoltosi liberamente sotto gli occhi di tutti, atto al ritrovamento puramente sensibile di una certa formula, definita magica in qualche intervento di quelli tatuati sulla pelle (vecchia e sostituita), che nell'"evolversi", anno per anno, mai ha perso in efficacia. Tutto è stato inaspettato e di conseguenza irripetibile con questa e con altre formazioni. L'incongruenza fra risonanze, che non si risolve con qualche discussione di troppo, porterebbe alla morte questo discorso, la mia opinione e molto probabilmente i Killers stessi; ma il mio non manca di essere un tentativo indiretto perché non elaborato, uno speciale resconto, tributo, del quale mi sento unico e assoluto incaricato, volto a una difesa del tutto immeritata e ad una celebrazione invisa a un numero incalcolabile di "ascoltatori" o magari di passanti. Insomma, per scelte artistiche, estetiche, ma mai musicali, la critica indirizzata a questi primi personali pigmalioni è risultata sempre soffocabile con scarsi risultati. Il culmine, temporaneo, di tale approccio pregiudiziale e infuriato è stato raggiunto con il terzo full-length caduto catatonico per una maggioranza di commentatori ormai radiofonici, che per un paio di singoli dalla certa verve firmata Thin White Duke aka Jacques Lu Cont, lanciati escludendo cavalcate texane o depistaggi primordiali, subito è stato impiegato quale arma a vantaggio di recensori incalliti, portando alla totale indifferenza e perdita di emozioni nel caso di un rapimento autentico. Infatti, fra 'A Dustland Fairytale' e questi dell'anti-occasioni non so quanto attrito possa esserci e sinceramente, ritornando nauseabondi su certi dogmi accessori, non mi spiego proprio l'impossibilità a un coinvolgimento del tutto evidente, musicale, naturale e oltre. Imbruttita, ciascuna creazione di queste origina immagini vaghe e scorrevoli l'una dopo l'altra, dalle tinte accese e dai profili indefiniti; ma anche senza proiezioni, in totale libertà, nessuno istiga all'assaggio; solo la prova e l'occasione al tempo stesso.

Music by: The Killers
Photo by: Zenog

venerdì 25 settembre 2009

Quando è difficile rinunciare alla musica truzza.

06.25.09: summertime rewind. da ry-o-vision.
Cataloghi infiniti di produzioni eurodance da quattro soldi, magnetici e farraginosi synth d'origine tedesca, oggi è il giorno di una rinfrescata veloce almeno 140 bpm, con tutto il languore possibile per armonie ben assortite e casse sgargianti delle quali nel pomeriggio una violenta fame m'è presa. La causa, inesplicabile in sé, è il vocal ballerino e audace, reso gay o meglio nato gay per via degli Erasure nel 1988, che da un pò ronzava negli anfratti di una mente cresciuta a stirate e studiate melodie accattivanti, irresistibili ancora a distanza di anni; un residuo di quelli targati "(Club Mix)", o altrimenti reso rovente da compositori di astratte creazioni spirituali (in questo specifico caso dai Real Booty Babes), alla peggio messe a fuoco con presentazioni dalle immagini vagamente fantasy, totalmente estranee al mio modo imbarazzato e indefinito di associare questa tipo di musica al suo corrispondente adeguato. L'ufficialità di un recupero ardito come questo è data dall'inserimento della 'Little Respect' di Tom Mountain in discussione (vedere per credere di che tipo di musicisti si sta parlando) in una playlist altrettanto ufficiale, a parimerito con la totalità di ciò che fino adesso mi è potuto piacere. Evitando di cadere nelle acque torbide di chi di gusto ne ha pochissimo, il ripescaggio sarà breve e rivolto esclusivamente alle cosiddette perle di un'età poco passata agli autoscontri quanto più alla registrazione, incollato alla radio, di musicassette, con già tutta l'ammirazione per mixtapes e simili. L'aura che un tempo avvolgeva di magico certi pezzi è diminuita in un ripasso avvincente di epoche forse più idealiste di altre (di transizione), buttate via in un fare i conti con realtà dalle quali ci si può tirare fuori del tutto e benissimo. Convogliato da riflussi amniotici, compio a piccoli passi questo ritorno al passato, chissà se lungo solo tutta una notte o più. Il divieto è quello di enumerare in scomode liste il meglio del qualitativamente peggio che io abbia mai ascoltato (e di muisca dall'immagine ben più grossolana ce n'è parecchia in circolazione anche al di fuori di questo spettro), pertanto l'indirizzamento, novello anche nel caso mio (ai tempi dell'hands up mica c'erano i computer in casa), per chi vorrà sarà faticoso e individuale. Solo una piccola e moderna dritta per una ricostruzione a ritroso di quello che è stato per me un genere di iniziazione.

Music by: Tom Mountain, The Real Booty Babes, Erasure, Groove Coverage
Photo by: ry-o-vision

mercoledì 23 settembre 2009

Una scadenza mensile pregiata, pregiatissima: "XX" by The XX.

Romy Madley Croft from The XX da Paul Bridgewater.
"XX" è il sunto di un pop etereo, sognante, ma anche abbronzato e "orecchiabile" quanto basta, incantevole nel senso che incanta. Il pop che piace a me, e che fino ad ora raramente avevo avuto il piacere di ascoltare ed elogiare fuori dai confini scandinavi. Di fronte a questo capitolo inglese è invece impossibile rimanere indifferenti; perché 'VCR' è una fucilata programmata per destabilizzare anime imperturbabili, perché le seguenti fanno uguale, direttamente ('Shelter') o indirettamente ('Heart Skipped A Beat'), raggiungendo in assoluto silenzio il profondo e negligente di ognuno, sciogliendo in poltiglia nera tutto il resto e liberando emozioni pure altrimenti in catene. Una matrioška di successive curiosità e spaventi onesti, irresistibili tanta la cura e la semplicità da definizione ottimale nonostante la piattezza di una visuale tutta schiacciata e adimensionale. Un tunnel monocromatico dal quale uscire e vedere la luce non è per nulla compiacente, tanto da portare a rigettarsi in pozze di catrame asciutte, rimpiangendo tali viaggi, eccitanti, nell'epicentro di terre amene, eleganti. Una composizione minimalista di idee da sovvertire, un mosaico di agevoli ma raffinati canti, lenti ('Crystalised'), esoterici da morirci ('Islands'), filmografici perché forniscono abbastanza materiale immaginativo da costrurci sopra una sequenza animata corvina in scioglimento, dove gli uomini, tutti, ballerebbero seguendo i battiti di quel tempo addizionale proprio di un'opera d'arte. Col minimo trucco addosso, riproducono onde, frequenze musicali che sono ombre per gli occhi accecati degli spettatori unanimi specchiati in un suono caldo e accogliente nonostante l'ampiezza di spazi larghi e la minuta presenza di individui a riempire la scena. Sospirate gente fin che ce n'è bisogno, fin che ce n'è in abbondanza di linfa vitale qua dentro, in sfere botoxate di energie umane e di liquame. Questi quattro non pretendono niente, creano direttamente sogni, diventando i soli e autentici padroni delle nostre labili menti, in estasi con musica del genere, con prostrazioni e bacia piedi validi per tutta la durata del servizio, un servizio inappagante visti i continui richiami e giri dal via. Qualcuno lo chiamerebbe sangue di vampiro. Questi, una squadriglia di prestigiatori, di fuoriclasse.


Music by: The XX
Photo by: Paul Bridgewater

lunedì 21 settembre 2009

Guardare avanti, impercettibilmente con lo sguardo rivolto indietro.

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E' quello che dovrei e che non riesco a fare. La mancata realizzazione di certe condizioni non potrebbe mai incrinare l'andamento di un'esistenza che altrimenti sarebbe fra pareti d'acciaio nemmeno poi tanto anti-proiettili, ma sicuramente essa rimanderebbe all'infinito, in un balenare continuo di indecisioni, la scelta alla quale in qualche modo ultimamente mi sento più chiamato del solito. Il solletico questa volta me lo ha fatto Dexter, la cui storia, dopo una breve parentesi d'intemperanza dalle deprecabili tinte inodore (mai senza fiducia in una risalita), è pronta per essere scritta nuovamente e secondo un nuovo e mirabile esempio. Ma proprio quando il primo giorno di vacanza è cominciato, basta un incontro per rendersi conto di quanto le passate azioni, frutto incalcolabile di desideri impulsivi o meditati, siano fatte per influire su quello stesso giorno, pensato per ristrutturare e chiudere definitivamente con l'ormai lontano trascorso. Questa ha quindi tutte le caratteristiche per essere una sindrome (maggiorata da esperienze e chiusure ermetiche) insanabile nel suo completo, per cicatrici e sfumate maniere che nel profondo ancora son presenti e bruciano ogni tanto nei sogni e nella realtà, andando a coincidere con la finitudine dell'uomo? Di conseguenza, e fino ad oggi inconsciamente, è pertanto la "malattia mortale", la disperazione che attanaglia il mio: se non guarirò avrò comunque già preso la mia decisione (estetica?), ma il fallimento, in ogni caso, farà di me un incapace alla vita. E tutto per ora torna. Mangiare sano, allevare cuccioli, essere tu apprendista e nel contempo modello come si fa in un vero e proprio nido, rinunciando, sempre parzialmente, all'indole per affezioni migliori: in condizioni critiche come le precedenti, questa, caro Dexter, sembra momentaneamente la soluzione a te più affibiabile. Per quanto riguarda la mia, inutile dire che rimando e che per ora sceglo di non scegliere fino a nuovo ordine. Le ripetizioni millenarie aumentano e si moltiplicano di brano in brano; anche questa volta in mancanza di (mi scuso per l'indirizzamento poco valido da gioco di parole) colonne sonore e musiche da ispirazione, rimando a live poco brillanti e dalla discutibile registrazione sonora e visiva.

Music by: Ocean Colour Scene
Photo by: Matias Damian Franco Del Carlo

giovedì 17 settembre 2009

Se andassi al liceo, fosse primavera e avessi vissuto diversamente.


Un'adolescenza XS ha fatto sì che mi trovassi a fare i conti con realtà spiacevoli da affrontare, e usando il termine "affrontare" cancello ogni possibile biasimo, alla fine da parte di me stesso. Se tutto ciò che ho supposto su di sopra fosse semplicemente stato, allora sì, 'Earthquakes And Sharks' sarebbe stata anche la mia spensieratissima soundtrack primaverile. Da quanto è allegra fa paura, e spaventa tanto da riportare al presente su cui sputare nonostante sia a tutti gli effetti invidiabile. Con leggerezza, le preoccupazioni avrebbero assunto un che di commestibile, pane per giornate soleggiate, mitigate da conversazioni asciutte quanto basta, relazioni minime in numero ma intense per condivisione (di vite credo), e da un mancato senso di nausea a condire serate in riva al mare o davanti a uno stesso disco in riproduzione ancora adesso. Tutto ciò avrebbe portato sicuramente anche ad una considerazione meno presuntuosa di un intero emo e insieme power pop allo scorrere di tracce ognuna immediata, ognuna estremamente adolescenziale tanto da portare ad ignorare quel tutto per dedicarsi a una ripetizione millenaria della stessa. In questa manciata di secondi è racchiuso lo sconforto di un tempo accorto, e il scivolar via del tempo, di fronte al quale rimuginare non solo è l'unica azione possibile, ma esso quasi del dittatore si ricuce la parte nel rinnegar continuo di vivere che tanto è ritornato in questo paio d'anni. Una bella spina nel fianco. E invece per molti attimi ho la sensazione disincantata di essere qualcuno davvero, con accertamenti belli e buoni e difficili (a volte) da sopportare; forse si tratta solo di una "fase" da superare? O una volta giunto nell'impassibile e risoluta terra dei veramente grandi nulla sarà cambiato? Da un certo lato me lo auguro anche, ma perché non ancora definitivamente in cura? Forse dovrei prescrivermi una sana dieta da serie televisive, mettermi a lavorare e la sera, attorniato da persone scomode, fingere di illudere me stesso di essere il protagonista vivente di un'insulsa seconda gioventù, matura però. Avrei pronta una playlist da accompagnamento musicale, che si chiuderebbe proprio con questo pezzo degli MGMT già pronto all'ascolto in mancanza della title-track, vera causa prima di queste meno insensate parole.


Music by: Brandtson, MGMT
Photo by: profan u. morphium

The Bloody Beetroots: eroi decaduti o pantomimi industriali?

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Questo è l'interrogativo che assale milioni di persone? No, solo la metà molto probabilmente, ossia solo chi li vide indossare le maschere pari passo coi MSTRKRFT, alzare la testa, guardare in sù e vedere i Crookers, digerire un suono ancora ruvido adatto alla dancefloor, non adatto alle programmazioni radio-televisive del post Aoki. Badare bene, a questo punto, è fondamentale. "Romborama" è la questione. "Romborama", nonostante Bob Rifo desista dall'esporlo (vedere per credere questa scena, imbarazzante per il semplice motivo che chi dovrebbe essere lì a rispondere non è quel tipo di pubblico) è un'operazione commerciale già largamente pensata e pescata con 'Warp', molto probabilmente il miglior pezzo electro di quest'anno già dal 31 dicembre duemilaotto, grazie al cui video sulla più nota rete musicale satellitare e non, i BB hanno gettato l'amo, posto le basi per ciò che ora sono diventati, e colto, come conseguenza di un successo planetario, la palla al balzo per seguenti collaborazioni con Marracash & Co., trasformandosi da eroi della notte in icone delle più ignoranti schiere di ragazzini/e, fra un anno dimentichi del loro synth acre, impegnati a idolatrare altri super personaggi della musica da commercio. Lungi da me la voglia di manifestare tutto ciò se non dopo essermi imbattuto appunto in "Romborama", e in quella serie di tracce le quali, avendomi conferito la stessa certezza che sta scritta su nel titolo (senza punto di domanda), dimostrano, confermano l'esatta evidenza: 'Have Mercy On Us' con Cécile, 'Theolonius' e i suoi input da videogames anni novanta, 'Storm' iraconda e ingannevole, come la stessa '1.9', prese singolarmente sono tutte creazioni che ammiccano in direzione di altri territori, opposti. Insomma, condizioni valide, non del tutto condivisibili. Prezzo da pagare bello alto per uno che, nato nel '77, decise e decide tutt'ora ('Sperm Donor') di ribellarsi al pop.


Music by: The Bloody Beetroots
Photo by: Cloz

mercoledì 16 settembre 2009

Beyond here lies nothin'.

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Chi s'aspettava il lieto fine e la pronta risposta per una nuova stagione l'anno prossimo, rimarrà accontentato nel vedere che al di là di questa, già intrinsecamente fantastica, suggestiva realtà non c'è nulla. Una grossa bufala, tanto per restare in tema? Non ci conterei molto. La soluzione, come già largamente e personalmente anticipato da puntata nove, è fin troppo semplicistica e "inevitabile" per la qualità e l'efficacia di certe immagini e di certe trame. Sinceramente, con tutti il rispetto per l'inarrivabile Eric, dell'imminente e succinto duello fra vampiri per chi la farà propria (Sookie), poco mi può importare: il vampiro Bill è delizioso a esagerati livelli umani (vedi l'eroica collaborazione con il Merlotte di turno, ancora una volta salvagente encomiabile di tutti); Sookie è guarda caso illuminante, e stare con un tenerone del genere quasi ne limita le sue potenzialità (a far fuori Rene e baccanti varie è sempre stato qualcun'altro); mentre per quel che riguarda lo slanciato ed ammaliante svedese, come già detto, spettrale è e spettrale ('Black Plant') manterrà la sua inibizione. Detto ciò per vampiri che mai come in questo momento deludono le aspettative, a confronto con mangiacuori dal sangue repellente, mutaforma incalzanti e ancora non del tutto inquadrabili dotazioni telepatiche in involucri umani?, parole dal medesimo peso vanno a personaggi dalle mentalità facilmente labili. E' infatti cancellato con ogni futura probabilità di ribalta il dubbio per cui Jason, sempre più in versione rambo ultimamente, possa davvero essere luccicante quanto la sorella, stessa cosa per Bellefleur e Lafayette, ancor più screditati da questo finale. La criminalità innegabilie di Eggs e le controversie amorose (fra Jessica e Hoyt e non) alzano il tiro, ma quella che rischia di diventare la "best scene ever" (in due stagioni di sovrappesata libidine, fantasia e quantità di sangue), sorpassando addirittura taglio-cottura e degustazione di cuore umano comprensivo di combattimento e lotta coniugale, è l'epilogo di un'alba di malvagità. L'incontro fra Maryann, ancora in estasi, e il suo sacrificio bovino, nonchè shapeshifter Sam, è un chiasmo di reazioni, un contrasto di intenti e di colori: l'avorio della pelle di un toro così perfetto e bellissimo, e la penombra di una menade sposa; l'inganno circolare che ne deriva e il farsi beffa l'uno dell'altra, per chiudere la questione, una volta per tutte. Morte assicurata e prevedibile per una figura che rasenterà un fascino impareggiabile per molto tempo. L'entusiasmo stando agli ultimi minuti di puntata dodici è scemato, ma non ci vorrà molto per riottenere da parte mia nuovamente coinvolgimento emotivo e credulità cronica.

Music by: The Last Shadow Puppets
Photo by: HBO