domenica 22 novembre 2009

The make up the break up.

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Questa composizione potrebbe richiamare a sé miliardi di interpretazioni nonostante la sua soluzione finale sia una e una sola: la rottura. Tant'è, "geniale", la divisione in parti. Io prendo in esame il male, di come esso nasca, cresca e inevitabilmente muoia un pò dappertutto. Ed è una parabola di sviluppo inversamente proporzionale al gradimento/godimento del paziente che, insaziabilmente compiaciuto dalle atmosfere di calda e passionale riscossa occupanti il finale, si riconosce già un pò involontariamente schierato dalla parte dei buoni. La partenza è infatti una pozzanghera di assemblamenti, storpi il più delle volte, ribollenti, in una fase di cottura ributtante, ancora inadatti alla funzione di sostegno almeno saltuariamente agognata quando è la tenebra a calare. E' un motore lento a carburare e che smuove solo al primo taglio, quando i battiti, adesso compatti e stellari, innescano la danza così com'è, lasciva e spontanea, movimento indifferenziato che percuote qualunque corpo si trovi nei limiti prestabiliti di questo covo, pari a un comando, a un'esigenza, a un riflesso incontrollabile. Dunque si fa notte in un baleno, nonostante le intonazioni siano differenti e riconoscibili anche internamente, sfumate a causa del sapiente impiego di chitarre elettriche (?) e altre trovate ricercate del caso. L'ombra maligna è maturata e, nel mezzo, prende voce, il cui timbro è femminile, ammaliante, posseduto. L'influenza che essa esercita è micidiale, mai imbarazzante perché non lascia sopravvissuti, quando, sulla spiaggia, sembra ormai una menade a dirigere le ostilità, dando prosieguo a questa musica sempre più muta, debole e meno soffocante. Il male sta forse svanendo? Sì. Esso è una medusa al sole, si scioglie flemmaticamente, senza opporre resistenza, mai però abbandonandosi ad una fine precoce. Gli ultimi sibilli anticipano una chiusura che sa di gloria. La mia preferita nonostante anche io avessi preso parte al rito settario di prima, ora nemmeno più un ricordo perché purificato. Ci sono voluti degli eroi per distogliermi dall'incantesimo, per liberarmi dalla perdizione incausata, giunti dal nulla, forse incamminatisi da oltre la selva, con poche armi e compagni al seguito. Quella che ritornerà alla mente solo come un'allucinazione giunge a termine senza che il suono smetta di allietare il nostro spirito, ancora a rinvenire sotto la luce del meriggio. Ora la spiaggia, appena poco fa luogo dimenticato e scenario sconsigliato, pullula di gente pronta a godersi il gaudio del proprio tempo libero. Ma questo è un altro disco.

Music by: Bruno Pronsato
Photo by: Silent Heartache

mercoledì 18 novembre 2009

Evribadi needs somebody.

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Quando mi dichiaro alle persone come mosso da una significativa istanza puramente individualista, queste indietreggiano e nell'arco di pochi secondi, elaborando, smettono di giudicarmi per poi riprendere a farlo questa volta accogliendo la mia confessione come una minaccia dalla quale prendere precauzioni. E quasi lo fanno di nascosto, silenziosi come animali (a volte sbraitando come cani), allontanando la mia mancanza di solidarietà agli angoli per non infettarsi, loro al centro di una stanza metallica coincidente con la mia. Colpevoli alla pari, sprovvisti di una consapevolezza avanzata, disconosciuta nei casi di massima e ostentata devozione al collettivismo, migrano altrove, verso campi abbastanza grandi per accoglierli tutti, dove alle effusioni alterneranno il baratto di soppiatto o quello comprensivo di gesti grossolani e parole poco gradevoli, in una farsa di attenzioni e sentenze inattendibili. Ma gli sviluppi dimostrano come anche in una piccola comunità di quindici persone, l'egoismo sia la prima, e forse l'unica, esigenza umana, indichiarata allo scopo di sostentare quell'usurato giudizio che esce un pò dalle bocche di tutti. L'egoismo vince, inevitabilmente, in ogni caso: rinchiuderlo quale bisogno costituzionale, dandosi in vendita al primo passante, mitigherebbe di astinenza quella che poi erutterebbe come un'urgenza omicida, o, anche peggio, come un suicidio se d'implosione senza fine si tratta. Non serve essere familiari, vestirsi da amici, farsi passare per fratelli acquisiti; quest'irrefrenabile macchia latente investe sempre, paragonabile ad un istinto animale solo un po più ponderato e iniquamente anticipato da parole e servigi che valgono la qualifica di "civile" per chi si sforza quotidianamente di mantenere un proprio ruolo sociale, accreditatogli da un sistema malfunzionante e obeso di bugie. Molto più semplice risulta l'accettazione, motivo basilare per la corretta riuscita di una convivenza (perché da solo non mi responsabilizzo a tal punto da non ritenere quest'ultima indispensabile), degenerata nella pellicola in discussione proprio a causa dell'incapacità dimostrata nell'accogliere un dono, nel riceverlo quale messia, compromettendo di fatto una salvezza che, anche secondo la mia immaginazione pre-conclusiva, avrebbe avuto del clamoroso. Così, trucidata la speranza, nessuno sarà risparmiato, alcuna forma di insegnamento verrà trasmessa, e ad ognuno spetteranno le conseguenze delle proprie azioni, ad esclusione di un cane, metafora spalancata per molteplici interpretazioni (dalla sua sopravvivenza al suo nome). L'orribile fotografia di un atteggiamento per nulla incline alla versatilità, da sempre parallelo al mondo solamente fatto di istinti e procacciamento, uso e disuso, corteggiamento e abbandono. Lontano da una totalità, la mia onestà si consuma ancor prima di aver incontrato altre micce, di conseguenza, utopisticamente, ignoro come potrebbe essere l'atteggiamento umano secondo la mia alternativa. Tutti hanno bisogno di qualcuno, l'importante è capirne il proposito.

Music by: Blank Dogs
Photo by: killmenow

domenica 8 novembre 2009

Yes, i treat you like my mother.

Alison Mosshart da Ren Rox.
Come preannunciato, hai fatto talmente tanto con così poco che la tua immagine ha eclissato completamente il resto dello sforzo, sostenuto anche da altri tre che insieme paiono maestri dell'esibizione, questa volta però scivolata su di un piano secondario. Quasi non mi era mai capitato di concedermi al sonno preparandomi a (ri)sognare determinate circostanze per poi andarci così vicino. Avendo quindi perso il conto delle volte di questa settimana e non considerando, o semplicemente non confondendo l'anelito spremuto fino in fondo con un curioso potere del quale potrei sentirmi dotato, il nesso si rivela nuovamente identico. Così come ti ho ammirata poche ore prima mi sei apparsa in sogno: bellissima, reale, padrona e comunicativa, solo più interessata ad un soggetto inferiore, spento e appeso a un filo come me, pienamente informato della tua dotazione di forbici e armamenti vari volti alla mia distruzione, che equivale al risveglio piacevole, ma impacciato per rilasci in piena regola, di questa mattina. Il vederti epilettica e semicosciente con le mani intorno alla bocca ha fatto nascere in me tanta preoccupazione quanto è stato il sollievo rischiarato dal finale, momento in cui l'espressione mansueta amabile di sempre è tornata indelebile e angelica più che mai. Non c'è termine più adatto per descrivere quella di ieri sera come la conferma della tua apparenza e delle mie avveniristiche impressioni innamorate. Nella fantasmagorica creazione ancora vivida e in memoria sedentaria, fra carezze (sostituite a quelle scambiate e profuse un pò ovunque) e lingue anglosassoni captate (perché tradotte?), la differenza fra di noi emergeva uguale, con te che mi dicevi di essere una rockstar poco disposta a prenderti cura di un tipo sprovveduto e volendo buffo come me, servo di un appagamento autolesionista e con la moina sempre subito pronta. Tutto quanto prevedibile e già scritto da qualche parte, senza alcun rammarico per mancate consolidazioni da fiaba, ma anzi con il tepore ancora addosso di un rapporto veramente ravvicinato (avvertivamo entrambi buone vibrazioni dal nostro contatto). E' mia intenzione, di conseguenza, non mischiare quest'indimenticabile esperienza con simili condizioni precedentemente stabilite e imposte evitando il garbo da te concedutomi, perché la qualità di certe parole sarebbe questa volta pleonastica, perché rivedo le nostre azioni e immagino quella tua di adesso così lontana e autonoma dal mio mondo che quasi, scriverne a riguardo, mi fa sembrare più imbambolato del solito. Quel che rimane costante, realtà o parvenza che sia, è però il tuo ultimo sorriso, formula invariata e invariabile su cui poggia il mio desiderio, così bello che anche se impraticabile, addirittura proibitivo, si mantiene comunque irrinunciabile.


Music by: The Dead Weather
Photo by: Ren Rox

venerdì 6 novembre 2009

Balding generation (Losing hair as we lose hope).

Under the sea.. da Black Linoleum.
Vedere, leggere e ascoltare la fantascienza certo non aiuta chi vive in questo mondo. Là fuori infatti una dimensione come questa finirebbe ridotta a piccoli cumuli di macerie, e non è come vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, non è come scendere a compromessi per piccoli e istantanei piaceri da consumare fra cause legali e versamenti bancari. La musica, in questo contesto, e dunque l'arte in generale assume ogni giorno quel carattere temporaneo e quella funzione liberatrice che pio Schopenhauer andava raccomandando quale "breve incantesimo", capace di distogliere l'attenzione umana dalla realtà così preistorica a confronto, nemmeno minimamente paragonabile all'effimero filmato, di immagini e sottofondi assortito, che si riproduce in tutta la sua durata mediante un caleidoscopio di idee personali. Tornare con i piedi per terra, a tenersi in equilibrio fra la vita e la forma: questo è il nostro compito di tutti i giorni. Le opere diventano così tentazioni, illusioni, fino a quando qualcuno, qualcuno non ci finisce dentro, per poi intrappolarsi nella propria spirale ideale che fa l'effetto di sabbie mobili. Mi domando se esistono ancora gli alienati, o se a questo mondo tutti si fingono strani indossando emerite parrucche e abiti dalle taglie sbagliate. L'evasione in tal caso dovrebbe essere legalizzata, l'estasi infinitizzata, l'utopia cancellata, per un universo impossibile dove scorrerebbe allora liberamente questa musica galattica, con tanto di cure Ludovico e balde generazioni (non calve). Servirebbe un formato fatto su misura per ognuno e secondo me si eliminerebbero anche le avversioni; improvvisare le relazioni per affinità sarebbe poi lo spirito, non costrittivo, che spingerebbe questi uomini così tutti visionari a "socializzare", dando origine a comunioni spontanee, amori leggeri e funerali realmente celebrativi. Fantasticare su tali assurdità è compito da non abbandonare nemmeno per un minuto se l'estraneità si vuole mantenere, l'unica via da imboccare è infatti quella della persistenza, esasperata fino a plasmare la totalità a proprio piacimento, in modo da vivere reltà distorte alternative a facili e offuscate prime scelte fatte di abbandoni e schiavitù irreversibili. Con ciascuna di queste tecniche la reazione, placebo o meno, è assicurata, dopo sta all'individuo scegliere: concedersi semplicemente oppure estinguersi, osservarsi dall'interno guardandosi vivere. Ecco i veri disadattati.


Music by: Epic45, Moderat,
Port-Royal
Photo by: Black Linoleum

lunedì 2 novembre 2009

Easy as pie (The house).

Dexter-Morgan da Jamie(bn(tp)c).
Il codice di Harry è infranto. Del tutto questa volta. Prima ancora di considerare l'atto di pietà in sé, lo si legge nel volto di chi, a commettere "sgarri" sempre prontamente (auto)riconosciuti, d'un tratto riceve approvazioni susseguenti l'una all'altra: prima l'amico vero, quello che non ti abbandona nel momento del bisogno, che sacrifica, rinuncia e si colpevolizza riconoscendo buon senso e ragionevolezza al proprio compagno in situazioni come dire, compromettenti; poi gli affetti genealogici, incarnati da chi sempre in un angolo ha tenuto il proprio personaggio di "interno alle faccende", sapendo e ignorando, per l'intera durata delle indagini, verità camuffate ad un pubblico non troppo condiscendente. Quest'ultimo, la sua finale espressione, le sue ultime parole sono la prova che ciò di cui incerto fino a ieri compivi, non ha bisogno di essere ricondotto a certi termini, a certe leggi andate a male, formulate da un padre nauseante sulle lame da lavoro insanguinate. Tutto questo impegno di sostegno "morale" vale molto di più di quello che può sembrare agli sconosciuti del caso; vale a dire infatti pace, liberazione dai lunghi, e di sicurezza ottenebranti, tormenti sul trovarsi nel giusto, sul sentirsi cattivo con la scusa pronta del codice. Quest'alone si è sciolto come scongelato, passando per ambienti più caldi anche per gelidi geni solitari. Ora Dexter Morgan non segue più istruzioni preventivate da altri, né modifica queste a proprio piacimento; egli ha ormai raggiunto una sua maturità d'azione non più giustificata, ma indipendente, vigile in base alle scelte malsane di ognuno, in base al giusto non relativo. Ha preso in mano la propria vita a tutti gli effetti, decidendo la morte per gli altri quale autentica mano sinistra di Dio, al fine di rendere giustizia, cessando il dolore per chi ne commette e per chi ne soffre. Ho sentito scivolarmi addosso l'estratto del tuo passeggero oscuro tante volte ma se devo scegliere, fra datate rivelazioni e squilibri precari, questo è il passo della tua vita che più preferisco, perché sorprende ad ogni avvenimento, comico o responsabile che sia. Le mie ancora acerbe sensazioni le lascio da parte in modo da godermi, rilassato, momenti d'oro da incorniciare come questo, in quanto so che la prudenza per uno come te non è mai troppa. Vero?

"Tutte le persone che ho ucciso mi hanno chiesto pietà, un concetto che non ho mai capito... finora."
"Questa, questa è la pietà. Ma solo per un'amica".

(Dexter Morgan)

Music by: Daniel Licht
Photo by: Jamie(bn(tpc)

Dreams vs. flashforwards.

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Finalmente s'intravede qualcosa. Nel senso che, a questo punto (episodio sei), anche Flash Forward merita di essere seguito con una curiosità pari a quella minima indispensabile perché ciò avvenga. Di motivi per fare il contrario ce ne sarebbero fin troppi: un riciclo di attori, che per me sono personaggi reali a tutti gli effetti, senza pari, che infastidisce ad ogni nome proprio di persona pronunciato (si elenchino Penny, Teresa, Daphne, addirittura Charlie); cavilli giuridici, ambienti sofisticati ma indigini che non hanno né capo né coda se si considera che il futuro è stato visto e in un modo o nell'altro si sta realizzando, sempre che quello delle premonizioni sia davvero l'avvenire; il dato, banale, per cui non ho mai digerito Joseph Fiennes e la sua carica interpretativa esageratamente teatrale che, paradossalmente, in questo seriale mi risulta divertente e, lui, a tratti simpatico e piacevole. Quindi, il motivo scatenante attenzione e dedica non poteva essere altro che una particolare scena, di quelle da avere tagliate e da conservare nell'archivio tra le migliori, grazie alla quale il briciolo di umanità che galleggiava nell'intera serie ha preso forma per almeno quattro minuti. Fin dal principio trovavo infatti il mio interesse esclusivamente rivolto, tralasciando Janis e la sua presunta lesbicità, all'ambiente clinico della dottoressa Benford, con tutte le ripercussioni che ne potessero derivare all'interno del suo dominio affettivo, della famiglia insomma, che inevitabilmente si frantuma sotto i piedi dei suoi componenti intenti a studiare il giorno che fra sei mesi li avrà resi ciò che stanno iniziando ad essere, senza che alcuno riesca contro la fatalità del futuro, che poi è il destino intrinsecamente reso. In quello spaccato emerge la colpevolezza anticipata di azioni già scritte, non ancora concretizzatesi per via di un tempo lento e quasi imbecille rispetto al suo inesorabile pilota, capace di recare futili speranze di salvezza da un'apocalisse ('Knowing Animals')? Mi rendo conto che prematuro sarebbe inquadrare il tutto senza rivelazioni ancor di più necessarie per un dialogo, un parallelo fra chi ha avuto dei flashforwards e chi ancora si limita a sognarle certe visioni. Inutile è, in ogni caso, paralizzare le proprie vite all'insegna del loro corrispettivo disegno per il semplice capriccio di immaginarsi diversamente, in condizioni migliori e non per forza di cose morti. Ammetto che non è facile a dirsi, ma quando altro non si possiede all'infuori di un'unica, fondata o meno, convinzione e di un viso impresso nella memoria, sbilanciarsi incutendo timore a se stessi quando certi riferimenti vanno perduti non sembra proprio la soluzione più adatta. Nel mio caso c'è in ballo l'amore di una vita, la cui mancata realizzazione brucerebbe quanto un disinfettante per ferite fresche, mentre questa è vicenda altrui, comprensiva di addii a funzioni respiratorie o peggio. Ma chi può giudicare quale perdita sia la più grave? Be' io penso di poterci riuscire, e osservando dall'esterno la situazione di questi ancora poco sintomatici protagonisti mi asterrei dal giudicare, ma con il tempo e un paio di puntate, un'ipotetica individuazione non sarà poi così difficile da esternare.

Music by: O+S
Photo by: abc