giovedì 24 dicembre 2009

The most impressive music of this year.

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Come sentirsi tormentati e preferire, all'ultimo minuto, comode liste a classifiche che, alla fine dell'anno, risultano in grado di riassumere unicamente disarmonia e confusione. Perciò quello di Zombie Nation, il grande escluso insieme a qualcun'altro, forse è il disco dell'anno; e il motivo pare elementare quando la selezione, tuttora in riproduzione, sarebbe quella identica e suonata per intera se mai mi calassi nelle vesti del disc jokey di un casalingo ma alquanto gradevole stabilimento estivo. Ma c'è di più. Perché una volta smontata l'attrezzatura, già so che la destinazione sarebbe quella di un qualche parcheggio pubblico della zona periferica, sempre il solito magari, dove allora scivolerebbe addosso fluida la musica degli Intercity, raccolta in quello che forse è il disco dell'anno, che racconta di New York dall'italia però, di crescite bloccate ad uno stadio di patetica autocommiserazione, come se le stagioni non si succedessero e dalla bocca uscisse sempre fumo, che faccia caldo d'inverno o freddo d'estate. Eppure, nonostante tutto, nonstante questa stabile e impacciata pausa sempre più caratterizzante, alcuni nuovi mondi sono riusciti a schiudersi proprio sul finale. Uno di questi è derivato dalla dissennato tentativo da parte degli English Heretic, di testimoniare l'operato di Kenneth Grant, trasformando la magia in suoni che odorano di umido a non finire, che insieme a citazioni e a valzer streganti compongono quello che forse potrebbe risultare il disco dell'anno, unto, parapsicologico e spaziale. Appena prima invece, quando ancora non si volava come se si prendesse un treno, la balearica riscaldava le tiepide abitazioni di terre decisamente più fredde delle attuali, fascinose più delle attuali, luoghi di astrazione e di incontro che le parole si sprecano a tratteggiare. Ricordo che lì, con il calore manchevole, risuonavano echi da isole molto lontane, firmati jj e Washed Out, forse autori dei due dischi dell'anno, a parimerito, s'intende, con quelli di altri due cantastorie, Dan Auerbach e Mr. E degli Eels, musica riscaldamento per le mie stanze. Dentro a queste ultime, le camerette italo-svedesi, si viveva un pò su entrambi i lati: nell'ombra, calata dai Fever Ray, prolungata dal quartetto (naturalizzato inglese?) degli xx, quando soli si decidevano i loro forse come i dischi dell'anno; ma anche sotto il sole cocente di quando, in compagnia, si sognavano invece i raggi di sole riflessi sui ghiacci, anticipati dai Miike Snow, e le mega feste dove si balla la dancehall di Major Lazer, annunciati pionieri con i rispettivi album, forse dischi dell'anno. Ricordo poi quando la confusione regnava sovrana, in un'estate passata a piangere, tremare sui Paper Chase e a nobilitare il loro disco forse come quello dell'anno, riconoscendo in quelle note lo spettro di una demenza messa in piedi macabra e aleatoria, in mancanza di Mac Blackout (lui sì il grande escluso), munito di surrogati non proprio simili. Unici, ad ogni istante in grado di esorcizzarmi dalla malattia dell'amore, di quell'amore, ad esempio cantato per noi (o per me) da Julie Doiron in quel che forse è il disco dell'anno, calcato e pesante come pochi, come nessuno. Funzione simile a quella del diario dell'anno, zeppo di confidenze firmate Emmy The Great, protagonista inoppugnabile di una primavera incredibile di giorno, capace di ringiovanirmi di almeno una ventina di mesi e di evitarmi tutta una serie di situazioni disdicevoli seppur abitante di queste stesse. Ma tornando a tempi più recenti, l'autunno è stato meraviglioso, il mese di Ottobre straordinario, costruito giorno su giorno seguendo lo stupore per certi scenari e certe rivelazioni, sempre con la tranquillità di un tempo che potrà solo essere invidiato da qui o da Marzo in avanti. Il disco dei Kings Of Convenience, forse disco dell'anno, accompagnava infatti camminate irripetibili in altri luoghi, senza aver bisogno che tali canzoni trasportassero altrove un viaggiatore poco attacato alla realtà. In generale non era difficile sentire il ritmo dei propri passi a tempo con quello di una musica cosmica, questa stavolta degli Epic45, il cui disco, forse dell'anno, pari a un countdown, esauriva gli ultimi attimi di beneamata quiete, perché, senza fraintendimenti, quella dimensione, seppur ostica, manteneva stabili. D'altronde i dovuti ritagli di puro compiacimento non mancavano: evasioni al supermarket con il disco (forse dell'anno) di Jay Reatard in cuffia; vedere il disco (forse dell'anno) di Mos Def fra i battiti reali; trovarsi pochi metri distanti dalla lei dei Dead Weather, autori forse del live dell'anno; tradurre in megalomanie composizioni dalle risonanze più che altro istantanee, indipendentemente dal soggiorno svedese (col disco, forse dell'anno, di Bruno Pronsato) o dalla permanenza italiana (durante la quale le tentate storie riguardano le produzioni apocalittiche di Dakota Suite, i vampireschi ritornelli degli Hatcham Social e le argute intuizioni a nome di The Whitest Boy Alive, tutti quanti forse dischi dell'anno se presi singolarmente).

Una lista e non una classifica per accontentarmi ed evitare di regredire compiendo sforzi d'affetto immani e inutili.

Music by: All these artists
Photo by: Ernest Greene (the most amazing photographer?)

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