martedì 2 marzo 2010

The western blue.

*§* da Cammy Lou Who.
Qualcuno ha finalmente trovato il "western blue". Erano mesi di ricerca assidua e ammalata, eppure salvezza è stata, perché con tutte quelle pillole, medicine senza effetto, il proseguir sarebbe diventato tormento, tumore e poi sempre peggio. Quindi ora è ripresa, ma essa (con lo scorrere delle lagne) si manifesta diversa, non per forza sotto il nome di "ritorno"; da acerba che è al primo minuto matura caldamente verso una nuova affermazione di stato, un'evoluzione, un'involuzione, una trasformazione, un cambio di rotta, un prequel e non un sequel della mente vecchiarda dell'amico Mac, un pò alienato come al solito quando si tratta di essere "solisti", e quindi se stessi però in musica, senza badare all'etichetta appesa quando in gruppo, pieni della voglia di più clamore, si spinge per diversificare il rumore. Intendo dire che il paziente affetto da demenza di una volta è ancora in pieno trauma, forse appena all'inizio dello stesso, con le orbite spalancate e fisse sul vuoto e il sozzo camice bainco a raccogliere tutti gli acari dell'ospedale. Perciò, è in questo lavoro che la lucida follia di un tempo prossimo risulta latente, in crescita sotto le effettive manipolazioni sonore di quello che potrebbe definirsi un esperimento dal brivido d'epoca: battiti muti e mutilati, a volte invisibili; chitarre sporche da far schifo se non prive della medesima accezione; ammucchiate di storytelling macabri e altrettanti di crimini reminiscenti quanto impressi a fuoco nella memoria. Dunque, se lo scorso già faceva paura grazie a quel suo ghigno istrionesco (opportunamente reso "melodioso", saltellante e cantabile), questo qui, quello che rimette il blu dell'ovest americano, terrorizza da fermo suonando la propria musica maltrattata, sfregiata, grattata e insudiciata a più non posso, in uno stato di primitiva infermità mentale lungo mezz'ora e poco oltre. Ma quel che scorgevo nelle perle del passato, lo osservo rosa tuttora al tramonto o all'alba del giorno dopo: 'Lava bones' è l'affresco dipinto coi colori che solo in seguito verranno strillati dappertutto, mentre la title track contorce e da la scossa pari modo ai deliri già provati da sconvolti con la bava che cola a terra. I flow da tremito ci sono, i macchinari e la presenza (con)dannata anche. Non manca davvero nulla per poter assistere, dopo diciassette mesi, alla nascita del terzo bambino rabbioso di Mac Blackout.

Music by: Mac Blackout
Photo by: Cammy Lou Who

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